Lorenzo Barone Web Site - UNREGISTERED VERSION

Vai ai contenuti

Menu principale:

San Cataldo nella seconda guerra mondiale

San Cataldo > Seconda Guerra e Dopoguerra

Cronaca del Tempo


Il 21 marzo 1943 avvenne un episodio, nel quale fu coinvolto direttamente il mio nonno materno, Angelo Falzone.
Presso la stazione di Xirbi, morirono 137 militari, mentre 360 furoni i feriti, e fortunatamente mio nonno non fu fra quelli, anche se era sul treno.
Il 19 marzo 1943 il treno 8864 era in partenza da Castrofilippo per raggiungere Termini Imerese. Su quel treno viaggiavano 800 militari del 476° battaglione costiero. A Canicattì era stata mitragliata la locomotiva di testa ed era ripartita dopo un giorno alla volta di Caltanissetta Xirbi. All'ingresso di Serradifalco, un aereo nemico mise fuori uso la locomotiva di testa, il treno rimase fermo ancora un altro giorno e fu sostituito con il treno 8860. Il convoglio, alle 4 del 21 marzo, giunse a Caltanissetta centrale e alle 5,10 il dirigente movimento chiese il consenso telegrafico e fu trasmesso il via libera. Alle 15,15 il capostazione in seconda, Candido Casagni, trasmise la partenza telegrafica. Dopo alcuni minuti uno strano rumore cupo e assordante annunciò un tender che lanciava il suo carbone in tutte le direzioni. Dai finestrini i soldati facevano cenni con le braccia: il treno era ormai senza controllo e investì il convoglio in manovra. Nel violento impatto scoppiarono anche gli esplosivi: pezzi di convoglio e di uomini calavano dal cielo. C'era gente con le ruote dei vagoni sul petto, arti disseminati ovunque, pezzi di corpi pendenti dai veicoli. I soldati superstiti trasportarono i colleghi feriti alla stazione. I morti furono 137 e i feriti 360. Pare che tutto si riconducesse a un sabotaggio. Alla stazione di Caltanissetta Xirbi esiste una stele a ricordo dei caduti, con la data marzo 1943. L'ospedale civile "Vittorio Emanuele" era stato distrutto, prima ancora di essere attivato, l' ospedale militare che si stava allestendo nella scuola di Santa Lucia, dissolti i vari ospedaletti da campo al seguito delle nostre truppe in ritirata, era l'unico funzionante.
I feriti, gli ammalati, i vecchi sofferenti, erano tutti ricoverati in questo che era diventato un porto-rifugio specialmente per i militari "continentali" che non avevano la possibilità di raggiungere le famiglie. Solo i feriti del 476° battaglione costiero del 17° reggimento fanteria, superstiti di quel treno carico di soldati avevano fatto in tempo prima dell' invasione della Sicilia a ritornare a casa in licenza di convalescenza. La popolazione nissena era stata prodiga di visite e di regali ai feriti, in maggioranza veneti e lombardi, durante la loro degenza in ospedale. I 137 morti, composti dalla pietà di un sacerdote (padre Carvotta) e dei ferrovieri, dei soldati, dei contadini accorsi dalle campagne vicine, erano stati trasportati al cimitero su autocarri, coperti da tende per "non allarmare la cittadinanza". Ma le donne dei quartieri popolari, al passaggio del triste convoglio, erano scese in massa per le strade e avevano seguito gli autocarri piangendo e invocando ad alta voce: "Figli, figli miei!", secondo la nostra usanza siciliana. A distanza di tanti decenni qualche anziano ferroviere, che prestava servizio presso la stazione centrale di Caltanissetta, ipotizza ancora il sabotaggio per opera di un operaio sindacalista delle ferrovie che chiuse le valvole di frenatura ai vagoni. Essendo il percorso, Caltanissetta Centrale - Caltanissetta Xirbi, tutto in discesa non fu possibile rallentare il convoglio con la sola frenatura della motrice. C'era la guerra ed era l'anno del bombardamento a Caltanissetta e dintorni. Tutto fu messo a tacere. Non fu fatta alcuna indagine. Buona parte dei Nisseni sconosce la tragedia di Xirbi. I militari deceduti, veneti e lombardi, erano tutti giovanissimi di età compresa tra i 21 e 30 anni.

Ricevo tramite mail da un sancataldese Doc:
Gentile Lorenzo mi chiamo Arcarese Gaetano ho 75 anni e faccio parte di quel grosso gruppo di persone che emigrarono nel nord Italia nel dopoguerra. Anche se manco da circa 70 anni da San Cataldo, ho trovato quasi casualmente sul suo sito web, una notizia che mi ha commosso e per me di grande valore: io sono il figlio di uno di quei soldati (Arcarese Salvatore) che perirono in quell'incidente ferroviario a Caltanissetta Xirbi. Avevo 3 mesi! Mio padre era rientrato in licenza dal fronte, per conoscermi e ripartì dopo qualche giorno salendo, su quella tradotta. Ho tuttavia frequentato saltuariamente San Cataldo perché ho ancora alcuni affetti, lontani, sfumati e soprattutto rari data l'età.
Ho avuto la soddisfazione di accompagnare, molti anni fa, la salma di mio padre dal primo luogo di sepoltura al sacrario nel frattempo costruito. Spero di poter portare i miei nipotini a "conoscere il bisnonno"
           La vita, nonostante la partenza in salita, mi ha dato molto.
Spero che Lei legga la mail e la saluto con viva cordialità,
                                    Gaetano Arcarese

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Lo sbarco degli americani in Sicilia avvenne nella notte fra il nove e dieci luglio del 1943 nella localita "Torre di Gaffe" tra Gela e Licata. Le navi furono avvistate verso le due e quaranta circa, a 10 km dalla costa esubito le batterie costiere italo–tedesche aprirono il fuoco. Tra il 10 e l'11 luglio, gli alleati, guidati dal Gen. americano Smith e dal Gen. britannico Montgomery riuscirono a fare sbarcare nella costa siciliana 80.000 uomini, 7000 veicoli e 3000 carri armati e anche diversi asini che, come indicazione dei soldati siculoamericani, erano importanti per percorrere le trazzere dell'isola. I soldati italiani lungo la costa dello sbarco erano un migliaio. Essi rispondevano al fuoco con delle mitragliatrici che non erano per niente adeguate a contrastare il bombardamento e il mitragliamento degli aerei americani.
Dopo avere neutralizzate le difese costiere, gli alleati si diressero verso l'entroterra agrigentino e nisseno, per poi raggiungere Palermo e altre città siciliane, mentre nel frattempo i tedeschi indietreggiavano verso la via di fuga di Messina, per risalire l'Italia.

Gli Americani a San Cataldo
I perimetri urbani di San Cataldo nel 1943 e nei primi anni successivi, alla venuta degli americani nella nostra città, erano così composti:
A nord, il paese era delimitato dall'Orfanotrofio Maschile Notar Fascianella, cioè l'attuale Casa di Reclusione. Dietro l'Orfanotrofio, al posto della via Siracusa, c'era una trazzera piuttosto ampia che proseguiva, sempre come trazzera, con l'attuale via Mazzini e arrivava fino a San Catallazzu e Portella Bifuto, che delimitava il lato Ovest. A sinistra dell'Orfanotrofio c'era la chiesa di San'Antonio, allora chiamata di Maria Santissima del Carmelo, con la via Palermo, dove esisteva qualche fabbricato, via Misteri, Oratorio Femminile, il Calvario e di fronte, la chiesa dei Misteri. La via Don Bosco era una trazzera e arrivava al Convento dei Cappuccini, fino all'ospedale Raimondi dove esisteva solamente il piano terra.
A Sud, il paese era delimitato dal quartiere Santa Fara, via Stazione, chiamata all'epoca "Stratella", alcuni fabbricati del quartiere "Chiancutu", e la via Caramanna. Poi Piazza Risorgimento ('a Brivatura), via Trieste fino al campo sportivo.
Ad Est, il paese terminava con l'attuale edificio della De Amicis e la via IV Novembre. Di fronte l'attuale Municipio con il monumento ai caduti. Sempre ad est, il paese finiva in fondo la via San Gaetano, dove si trovava la centrale elettrica, una fabbrica di ghiaccio, un oleificio e un mulino.
Questo era il perimetro di San Cataldo e oltre vi era terreno anche coltivato e qualche casa di campagna.
La nostra città nel 1943 era presidiata da tre accampamenti tedeschi, dislocati in vari punti della città. Uno si trovava in contrada "Barone", che comprendeva l'attuale Piazza degli Eroi, l'altro in contrada Giorgibello, "chianu di naca", quasi fino all'attuale serbatoio dell'acqua, "casa di l'acqua", e l'altro presso i capannoni militari, vicino la stazione ferroviaria. San Cataldo ospitava anche la 4a Divisione di fanteria "Livorno". I soldati italiani erano accampati vicino l'attuale via Cattaneo, e altri all'ex piano regolatore, vicino e dietro, l'attuale Tenenza dei Carabinieri. Da sottolineare che i soldati italiani custodivano anche i capannoni militari e altri accampamenti italiani, si trovavano subito dopo l'attuale quartiere di Pizzo Carano e un altro più numeroso, a Roccella, dove vi era anche uno più numeroso di soldati tedeschi poco sotto, in contrada Giurfo.
I soldati tedeschi erano molto preoccupati dalla scarsa opposizione agli aerei americani, come lo erano i soldati italiani che fuggendo verso Messina, transitarono per San Cataldo. Un anziano ospite della Casa di Ospitalità mi ricordava di un bombardamento su un'autocolonna di soldati italiani lungo la strada nazionale che da San Cataldo porta a Serradifalco, all'altezza di contrada Decano, che venne bombardata e mitragliata dagli aerei americani. L'autocolonna era costituita da otto camion che saltarono in aria poco dopo che i soldati italiani scendessero sparpagliandosi e nascondendosi.
I bombardamenti aerei a Caltanissetta erano avvenuti nel pomeriggio del 9 e dell' 11 luglio, con morti e feriti, e dopo che la notizia fu di dominio pubblico a San Cataldo, donne anziane e di mezza età, accompagnati da vecchi e bambini, con dei sacchi sulle spalle o fagotti voluminosi, fatti con tovaglie o lenzuola, si avviarono verso le campagne o in qualche grotta fuori paese. Al calar della sera e per molte sere, alcuni dormirono nelle mangiatoie, altri su materassi di paglia ed altri su lenzuola stese sulla paglia. Le donne pregavano per l'intera giornata, con il loro rosario fra le mani, coprendo con il loro corpo i propri figli, nel momento del sibilo delle bombe o del rumore delle mitraglitrici.
La 45° Divisione americana entra, il 18 luglio del 1943, a San Cataldo verso le ore 10.30. In ogni camionetta, c'erano quattro o cinque soldati, armati e con l'elmetto in testa. Essi sorridevano, salutavano con la mano dicendo in un siculo americano: "hallo! paisani, noi portare libertà, Italia libera" distribuendo caramelle, pacchetti di sigarette e pezzi di cioccolata.
La gente applaudiva e gridava: "viva l'americani, viva l'americani, viva la paci, viva la libertà ".
Le camionette stazionarono per alcuni minuti e poi andarono via, verso Caltanissetta. La folla sembrava come impazzita e gridava: "finì a guerra, finì a guerra, iamu a scassari i putii" e si avviò per andare a scassinare diversi negozi portando via scatolette, olio, conserva di pomodori, formaggi, mortadelle, sarde salate e tutto quello che trovava, suppellettili comprese. Uno dei negozi scassinati apparteneva al padre di Alberto Bartolozzi, Cosimo, in via Garibaldi, che praticava il commercio all'ingrosso, al quale rubarono tutto, recuperando alla fine solo la bilancia e i pesi.
Dopo una calma apparente, ma con la gente attanagliata dai morsi della fame, e saputo che i capannoni militari vicino la stazione ferroviaria di San Cataldo erano stati abbandonati dai soldati, andarono a scassinarli e nel giro di qualche ora la gente brulicava nei capannoni come un nido di formiche. Si vedeva gente con asini, muli, cavalli, carriole, carretti, qualche carro trainato dai buoi, altri avevano incrociato delle tavole in maniera da fare una specie di slitta che veniva trainata da un animale, (straula) altri ancora facevano dei fagotti con tende e lenzuola e portavano gli oggetti che avevano preso sulle spalle.
Nei capannoni c'era di tutto: scarpe, coperte, maglie, calze, passamontagna, confezioni di razioni alimentari, fucili, pistole, cassette di munizioni, tonno, carne in scatola, chiodi, attrezzi vari e tutto quello che poteva servire ad un esercito. Inoltre c'erano pure motociclette, camion, automobili, macchine per scrivere, armi ed altro, ma visto che a quel tempo pochi sapevano guidare, gli automezzi rimasero quasi tutti nei capannoni.
Questo saccheggio generale durò alcuni giorni, poi gli americani misero davanti ai capannoni delle guardie e nessuno si avvicinò.
Gli americani a San Cataldo se la spassarono, sovente erano invitati a pranzo e a partecipare a feste da ballo, cercando donne. Pagavano in dollari e perciò trovavano facilmente prostitute, signorine e anche donne sposate, visto che i loro mariti erano assenti perchè arruolati. Davano inoltre, sigarette, viveri e pacchi e verso le nove, dieci di sera, si davano appuntamento nel pianoterra della Banca Toniolo, dove mangiavano, bevevano, ballavano e ...stavano allegri.

A seguito di questi fatti riguardanti i capannoni siti vicino la stazione ferroviaria, ricevo e pubblico questa lettera, che arricchisce ancor più la cronaca del tempo:
Caro Lorenzo, sono il sancataldese Cataldo Giampocaro nato il 04.02.46.
Ho letto quanto da te scritto e riportato nel sito “San Cataldo e i Sancataldesi” e l’ho trovato molto interessante.
Per quanto riguarda il capitolo sulla seconda guerra mondiale e l’entrata degli americani a San Cataldo il 18 luglio del ’43 gradirei fare presente quanto segue: i depositi militari presso la  stazione ferroviaria non erano stati abbandonati del tutto dalle nostre truppe, in quanto qualche giorno prima dell’arrivo degli americani, questi furono affidati dagli alti gradi che evacuarono subito, al  Mar. Giacomo Giamporcaro (mio padre e nonno dell’ing. Giacomo Giamporcaro, forse tuo coetaneo e attuale Direttore di Cantiere presso Tecnis S.p.A. / Empedocle 2 scpa) con l’ordine di non far cadere nelle mani degli invasori quanto in essi era custodito. Mio padre, anziché distruggere i depositi, aprì tutti i magazzini in modo che ne potessero usufruire di quanto in essi depositi gli abitanti di San Cataldo e dei paesi limitrofi (e questo può essere testimoniato da qualche anziano che lo ricordano davanti al portone d’ingresso dei magazzini che incitava tutti a fare in fretta ). Non si può parlare pertanto di saccheggio poiché il tutto fu fatto volutamente. Questa operazione ritardò la sua ritirata e, in conseguenza e al contrario dei suoi superiori, fu preso prigioniero: incolonnato con altri commilitoni, arrivato a Caltanissetta riuscì a fuggire e, successivamente, il 25 agosto, fu ripreso e lasciato libero sulla parola. Per quanto accaduto, il 17.10.44 fu interrogato dalla Commissione Interrogatoria del Comando militare delle Sicilia, perché, a parere dell’alto comando, aveva trasgredito gli ordini ricevuti (non far cadere i depositi nelle mani dei nemici). Avendo dimostrato che nulla era andato in mano agli alleati, poiché i depositi non furono da questi presi, ma aveva agevolato una popolazione intera senza che lui si fosse appropriato neanche di un laccio di scarpe, il 7 dicembre fu “discriminato con nulla a carico” in quanto nessun addebito poteva essere fatto dal lato penale, ma, (i superiori hanno sempre ragione!) veniva punito con gg 7 di C.R. per essersi fatto ricatturare il 25.08.43, anche se successivamente veniva decorato con due Croci al merito di Guerra con determinazione del Comando Militare Territoriale di Palermo il 15/06/47 n. 315o d’ord. del registro delle concessioni del comando stesso.
Precedentemente in Cirenaica, dove prestava servizio, il 6 febbraio del 41 era stato fatto prigioniero dagli inglesi.  Messo in campo di prigionia unitamente agli altri graduati, il 30 marzo, con l’aiuto di un ex ascaro suo amico beduino, organizzò una spettacolare fuga della quale ne usufruirono alcune  centinaia tra ufficiali, sottuffuciali e soldati.
A prova di quanto sopra allego fotocopia dei fogli 5, 6 (arruolamenti, servizi, promozioni) e 11 (campagne, azioni di merito, decorazioni, ecc.) del “Foglio Matricolare e Caratteristico” che puoi trovare o presso l’ex distretto militare di Caltanissetta o presso il locale Archivio di Stato. Unisco inoltre copia della relazione scritta consegnata alla Commissione per l’interrogazione degli ex prigionieri di guerra il 20 novembre 1941.
Anche se è trascorso molto tempo dalla sua morte, avvenuta il 21.12.1961, maggiori dettagli e notizie su mio padre li puoi avere, inoltre, da qualche anziano di San Cataldo, dal momento che era molto conosciuto e stimato da tutti (llu marasciallu Giampurcaru)"
Villapriolo, 03.05.2014

Terminato di saccheggiare i capannoni della stazione, dopo qualche giorno, la gente iniziò a demolire le case di legno che si trovavano nello spazio del piano regolatore, dove c'era stato l'accampamento dei soldati italiani. Nel giro di qualche giorno le tavole ricavate da quelle case, fornirono combustibile per l'inverno a molte famiglie.
Sparsa la voce di quanto accaduto a San Cataldo, numerose persone di tutta la Sicilia e specialmente da Palermo e provincia, iniziarono a venire nel nostro paese, per acquistare al mercato nero, non soltanto frumento e legumi, ma anche per barattare i loro agrumi con indumenti e alimenti resi nei capannoni. I "bagariuti" (di Bagheria) erano i più  assidui frequentatori.
Il contrabbando era l'unica occupazione possibile e anche le forze dell'ordine chiudevano gli occhi, perchè la fame era terribile per tutti. Il comune aveva istituito l' E.C.A. che dava una tessera ad ogni famiglia e con questa si poteva ritirare un certo quantitativo di pane, pasta, zucchero, e quello che c'era, pesato al grammo, ma non sufficiente a sfamare la famiglia, per cui ci si recava in campagna a raccogliere mazzareddri, cicoria amara, finucchi, biletti, "u pani panù", e "piscialazzi", se si trovavano.

Ufficialmente le vittime civili in provincia di Caltanissetta furono complessivamente 751 di cui 350 a Caltanissetta, 136 a Gela, 92 a Niscemi, 51 a Mazzarino, 19 a Santa Caterina, 18 a Riesi, 16 a San Cataldo, 13 a Sommatino, 12 a Delia, 10 a Resuttano, 9 a Butera, 6 a Serradifalco, 4 a Milena, 3 a Campofranco, Villalba e Vallelunga, 2 a Montedoro Sutera e Acquaviva.
Le cronache del tempo raccontano, anche di un decesso avvenuto lungo il corso V. Emanuele, di una donna, in seguito a subbugli, a causa di un colpo di arma da fuoco alla testa, di fronte l'attuale farmacia Maira; di un altro uomo ucciso dai soldati americani, in contrada Favarella, perchè scambiato per fascista, in quanto aveva la camicia nera, che stava indossando per osservare il periodo di lutto, come si usava nelle nostre zone. Altro decesso riguarda la nostra concittadina, signora Sagona, in seguito a bombardamenti. Il sig. Maira, invece, saltò in aria in contrada "Giurfu", mentre arava la terra, in seguito all'esplosione di un ordigno, e un ragazzo, tale Sanguedolce, morì in casa, mentre manipolava un ordigno esplosivo trovato in campagna. Stessa fine fece la famiglia di Falduzza Arcangelo e della moglie Villetta Antonietta, con i rispettivi figli, Agnese di 12 anni, Arcangelo di 10, Calogero di 6 e Maria di 4. Il signor Falduzza aveva fatto il soldato in Spagna con la qualifica di artificiere e quindi sapeva come manipolare gli esplosivi e molti ricorrevano a lui per bonificare appezzamenti di terreno inquinati di residui bellici. Purtroppo, mentre manipolava alcuni residui, un pezzo di carbone acceso, sfuggito dal ferro da stiro della moglie, innescò un'esplosione tremenda che provocò la morte dell'intera famiglia.
Il sancataldese Stefano Garofalo, nato il 21 giugno del 1920, morì nel campo di sterminio di Natzweiler il 13 aprile del '44. A Dachau trovarono una morte orrenda anche il sancataldese Diego Lumia (che era nato il 30 settembre del 1896) e vi morì il 21 gennaio del 1945. Il sancataldese Rosario Scarlata (nato il 14 dicembre del 1919, invece, morì ad Ebense il 2 maggio del '45.


Testimonianze rese da alcuni ospiti della Casa di Ospitalità per anziani di San Cataldo.
Alcuni passi sono estrapolati dall'ottimo libro di Ernesto Riggi "Tempi difficili"


Caduti sancataldesi nella seconda guerra mondiale
Elenco ufficiale parziale diramato dal Ministero della Difesa il 31/03/67

Finalmente il Ministero della Difesa ha messo on line l'archivio completo ufficiale dei caduti di tutte le guerre e basta inserire solamente il cognome per sapere il luogo di sepoltura dei caduti.   Clicca qui per accedere al sito

Il 16 Dicembre 1941 alle ore 8,45, da San Cataldo, passa S. M. il RE Imperatore Vittorio Emanuele III della Casa Savoja, fermandosi davanti la Casa del Fascio sul Corso Vittorio Emanuele 125. Il popolo sancataldese lo accolse con applausi fragorosi e con tanta festa e tanta gioia. Anche due aerei che volteggiavano nell'aria, per la sua protezione, alimentavano la gioia del popolo. Non inganni l'abbigliamento visto che era Dicembre, ma in quei tempi, i ragazzini usavano vestire con i pantaloncini corti, un po' sopra il ginocchio, sia d'estate che d'inverno, e le donne dovevano entrare in chiesa con il velo in testa.

 
Torna ai contenuti | Torna al menu