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Il Dopoguerra: I Carusi, I Quartieri e Le "Guerre"

San Cataldo > Seconda Guerra e Dopoguerra

Se per gli adulti, i periodi della guerra e del dopoguerra furono difficili, sicuramente lo furono ancora di più per i ragazzi, perché su di essi si riversarono tutte le conseguenze negative della guerra in termini di difficoltà economiche, carenze affettive, mancanza di esempi e di stili di vita improntati all'insegna del vivere secondo regole democratiche. Nonostante ciò, i nostri giovani seppero alzare la testa e lottare contro le avversità che li voleva piegare e destinare a fare parte della schiera dei vinti e con orgoglio si può dire che hanno dato origine ad una generazione fatta di uomini onesti, laboriosi, dai sani principi morali e che sono stati artefici della ricostruzione.
In quel tempo erano pochissimi i ragazzi che frequentavano la scuola o che venivano avviati al lavoro presso qualche artigiano per imparare il mestiere. La maggioranza se ne stava per le strade ad oziare e tutto ciò dava origine a delle piccole bande di quartiere.
I ragazzi del quartiere della Chiesa della Mercede (Cummentu) e la parte bassa di via Caltanissetta, venivano chiamati "cummintara", i "brivaturara" erano invece i ragazzi che abitavano nelle vicinanze dell'abbeveratoio di Piazza Risorgimento, e spesso si alleavano tra loro, i "stratellara" abitavano in via Stazione e parte del quartiere "chiancutu", invece i "santafarara" erano i ragazzi del quartiere di Santa Fara, che a volte combattevano con i "santustefanara" o "montalbanesi" perché abitavano nella parte alta del paese, altresì i "matriciara", erano i ragazzi che abitavano nelle vicinanze della Madrice e i "sangiusippara" quelli che abitavano nelle vicinanze della Chiesa di San Giuseppe.
In queste piccole bande di quartiere, la funzione di capo o meglio dei capi veniva svolta dai ragazzi che si dimostravano fisicamente più forti, più temerari e più spavaldi.
I quartieri erano sempre in attrito tra di loro, non per particolari motivi, quanto per il desiderio di ostentare e imporre la propria forza agli altri per cui, avvenivano continuamente delle "sciarre" che i ragazzi chiamavano "guerre" e che venivano combattute a suon di pugni, calci, con lancio di pietre, talvolta con le fionde, e con uso di bastoni.
Si vietava ai ragazzi appartenenti ad un quartiere diverso, di sconfinare nel proprio, perché immediatamente il ragazzo trasgressore veniva aggredito, picchiato e derubato di quello che aveva, a meno che non avesse avuto un cugino o qualche amico capace di proteggerlo.
Quindi, anche i ragazzi risentivano del clima di violenza in cui si viveva nel primo periodo del dopoguerra e si seguivano i modelli di vita propinati, magari involontariamente, dagli adulti.
Per essere bene accetti dai compagni ed essere ammirati e tenuti in considerazione, oltre a dimostrare di essere forti e coraggiosi, bisognava anche dimostrare di essere destri nel rubare. I cummintara per esempio, andavano a rubare al mercato della frutta, che allora si svolgeva in P.za Mercede e che era il mercato più importante della provincia.
La tecnica, sopraffina, consisteva nel nascondersi dietro i "cufina", che erano contenitori fatti con canne ritagliate e rametti d'ulivo e appena il proprietario, per un motivo qualsiasi si distraeva, essi prendevano qualche melone, pomodori o frutta o quello che trovavano e subito scappavano. Oppure, andavano a rubare le fave che i carrettieri davano agli animali e che erano contenute nelle "coffe" attaccate alla testa degli animali. Invece i santafarara, andavano a rubare il pane che i contadini avevano nelle bisacce, quando dalla campagna ritornavano in paese, dato che usavano fare il pane nei forni che avevano in campagna e poi lo portavano ai familiari che abitavano in paese mettendolo dentro "li virtuli". La tecnica che i ragazzi usavano, consisteva nel mettere in pratica il detto: "Ucchiu a ti e manu a li virtuli".
Il ragazzo, con la massima leggerezza e senza fare rumore, si accostava a fianco del contadino che cavalcava l'animale e gli camminava accanto senza farsene accorgere. Poi, guardava senza distrarsi se il contadino si stesse accorgendo di lui e nello stesso tempo, metteva la mano dentro "li virtuli" estraendone il pane o altri oggetti.
Altre volte i ragazzi andavano a rubare la frutta o la verdura direttamente nelle campagne. Perché si faceva tutto questo? Per tamponare i morsi della fame e per dimostrare agli altri il proprio coraggio. Per tornare alle guerre fra quartieri, i " brivaturara" si sciarriavano con i ragazzi "stratellara" e molte volte succedeva che si sfidavano i capi, cioè i ragazzi che erano un po' più grandi ed anche più forti.
Tra i ragazzi particolarmente vivaci c'era un certo "gardellinu" che in realtà si chiamava Salvatore Santangelo. Tra i ragazzi "stratellara" c'era un certo Salvatore Mangione che era uno dei più grandi. Si deve dire che non erano cattivi, ma il frutto della guerra e molti di questi ragazzi sono diventati giovani onesti e bravi lavoratori. Il quartiere Santa Fara era, al tempo, quello più pericoloso e i ragazzi degli altri quartieri non si fidanzavano con le ragazze di Santa Fara, perché le ritenevano di ceto sociale inferiore e quindi per essi era un disonore. Bisogna dire però, che non tutti gli abitanti di Santa Fara erano malfamati perché alcuni erano persone perbene.
Nella cronaca delle "guerre" fra quartiere, qualcuno ricorda quelle contro i "matriciara", che fra i capi annoveravano i fratelli e i cugini Picone, i cui familiari erano famosi in tutta la Sicilia perché avevano a livello artigianale delle fabbriche per la produzione di petardi e mortaretti da usare per i giochi pirotecnici. I "matriciara" quindi, oltre a presentarsi armati di pietre e bastoni, si presentavano armati di petardi "fisci" e li lanciavano contro gli altri mettendo scompiglio e  paura.

Man mano che la situazione socio-economica migliorava, anche i ragazzi che frequentavano la scuola diventarono più numerosi e molti furono avviati presso le botteghe degli artigiani per imparare un mestiere.
Allora non era difficile potere frequentare le botteghe degli artigiani, perché erano molto numerose, e in tutte le strade, c'erano botteghe di calzolai, fabbri, barbieri, sarti, falegnami ecc.
I genitori spingevano i figli ad imparare un mestiere e c'era anche il detto "'mparati l'arti e mittila da parti" nel senso che conoscere un mestiere, anche se poi non lo si esercita, può sempre essere utile in caso di bisogno. Gli artigiani, in pratica, facevano il lavoro che doveva essere fatto dalle scuole professionali. I ragazzi che frequentavano la bottega, imparavano veramente il mestiere, sia perché cominciavano ad impararlo da bambini, sia perché avevano possibilità di esercitarsi e quindi l'apprendimento avveniva attraverso il fare e l'esercizio quotidiano.
Altri ragazzi venivano avviati al lavoro con i muratori o in miniera, perché in quel periodo le miniere di zolfo non erano ancora entrate in crisi, mentre i figli dei contadini svolgevano lavori in campagna. Alcuni vennero avviati in campagna come garzoni.
Molti ragazzi nel pomeriggio, dopo avere fatto i compiti, andavano all'Oratorio dei Salesiani che metteva a disposizione dei ragazzi diversi palloni e questa era l'attrattiva principale.
La disponibilità dei palloni, consentiva la formazione di squadre di calcio e l'organizzazione di tornei che suscitavano un entusiasmo grandissimo ed una partecipazione massiccia da parte dei ragazzi.
Le partite si svolgevano nelle parte antistante le aule scolastiche e il teatro, dove si trovavano anche una giostra, l'altalena, le pertiche, le funi, la trave ed altri attrezzi ludici che sicuramente invogliavano i giovani a frequentare l'Oratorio.
Possiamo dire che i Salesiani attraverso l'utilizzo di questi strumenti, svolsero tra i giovani sancataldesi un ruolo educativo fondamentale. Erano diverse centinaia i giovani che frequentavano l'Oratorio La cui giornata era suddivisa in diversi momenti: c'era il momento di studio, il momento della preghiera e il momento ludico.
Un momento molto importante della giornata passata all'Oratorio, era rappresentato dalla distribuzione della minestra che i ragazzi chiamavano "rancio" e della pagnotta con companatico a base di pesce, marmellata o carne in scatola.
La distribuzione di questi alimenti era un'attrattiva molto importante, perché bisogna ricordare che nel primo dopoguerra, c'era il razionamento e quello che si riusciva a trovare nei negozi non era sufficiente, per cui i ragazzi avevano sempre fame.
I ragazzi portavano da casa una scodella e dopo la preghiera, si mettevano in fila e a turno si riempiva la scodella con pasta e fagioli o altri legumi. La domenica, ma certe volte anche in qualche giorno feriale, c'era la distribuzione della pagnotta imbottita.
Dopo l'uscita della messa, c'erano vicino la porta dei canestri piene di pagnotte che venivano distribuite.
I salesiani, per invogliare i ragazzi a non scappare nei momenti di preghiera, consegnarono ad ogni ragazzo un cartello dove, dopo la recita del Santo Rosario, veniva applicato un bollino.
I ragazzi che accumulavano sul cartello un certo numero di bollini, venivano premiati.
Da ricordare che i Salesiani sono stati i primi ad inculcare nei sancataldesi l'amore per il teatro. Centinaia sono stati i giovani che si sono cimentati con le attività teatrali, calcando il palcoscenico e affacciandosi alla ribalta del magnifico teatro dell'Oratorio, sia con la rappresentazione del Mortorio ed altri lavori di carattere sacro, sia con la rappresentazione di commedie e farse che hanno rallegrato e portato brio nelle famiglie e successivamente con rappresentazioni di lavori di un certo impegno culturale.
Sicuramente, l'attività teatrale ha contribuito a sviluppare e raffinare nei sancataldesi le capacità espressive e di linguaggio, ad inculcare in loro principi morali sani e ad imparare ad amare questo mezzo di espressione altamente culturale e formativo.

Passi estrapolati dal libro di Ernesto Riggi "Tempi difficili"

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