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La Rivoluzione del 1848

San Cataldo > San Cataldo vs Caltanissetta

S. Cataldo rivoluzionaria e Caltanissetta borbonica


A seguito del fallimento dei moti rivoluzionari del 1820, tra i Sancataldesi e i Nisseni rimase uno spiccato antagonismo campanilistico dovuto alle guerriglie tra le due città.
La popolazione sancataldese, costituita nel suo complesso di lavoratori della terra, dopo il 1820, rimase quasi indifferente di fronte agli avvenimenti politici del tempo, e risentì della ottusa e bigotta mentalità del Principe Borbone.

La Rivoluzione del 1848
La prima esplosione avvenne in Sicilia, la terra dei Vespri e del fuoco sotterraneo. Reggio e Messina insorsero il I Settembre 1847, ma la sollevazione fu soffocata nel sangue di ben 47 fucilati.
Palermo insorge il 12 Gennaio 1848. La lotta è accanita nelle vie della città. Dopo nove giorni la guarnigione borbonica capitola e viene a patti.
La nostra città, mai seconda alle altre della Sicilia, dà la sua piena e incondizionata adesione ai moti rivoluzionari di Palermo, con pubbliche manifestazioni, mentre il Tricolore italiano viene inalberato nel Palazzo Comunale.
Don Gaetano Vassallo, appartenente a una delle migliori famiglie del paese per censo, per bontà di carattere, per affetto e devozione al patrio suolo e per meriti intellettuali, assume la presidenza del Comitato Comunale di difesa, mentre a Vice presidente viene chiamato l'avv. Giuseppe Amico Medico, insigne giurista e storico sancataldese (G. Mulè Bertolo - opera citata). Ma quello che spicca maggiormente per spirito patriottico e sprezzo del pericolo è Don Francesco Lunetta, il piu rivoluzionario dei sancataldesi.
Figlio di una delle famiglie piu quotate per censo, intelletto, onestà e nobiltà d'animo, Don Francesco Lunetta nacque a S. Cataldo 1'8 Dicembre del 1810. Spirito intraprendente e figura maschia di uomo coraggioso e altruista, nel 1831 si arruola volontario nell'esercito ed è assegnato al secondo Reggimento di linea. Dopo due anni ha la ria sorte di perdere entrambi i genitori ed è giocoforza tornare alla vita civile, onde accudire ai grossi interessi di famiglia. Venuto a conoscenza della rivoluzione del 12 Gennaio 1848, si unisce ai piu arditi e combatte contro gli scherani del dispotismo. Piu tardi si fa onore a Messina ove si reca a combattere a capo di una squadriglia armata e ove viene fregiato di medaglia d'argento con diploma, che nella dizione così conclude " ... tributo di riconoscenza, di ricordo delle durate fatiche, monumento ai posteri di eroismo e di affratellamento siciliano".
Al ritorno da Messina viene nominato Capitano dei Militi della VI Compagnia della Guardia Nazionale.
Successivamente lo si vede alla testa di 52 valorosi concittadini militi della Guardia Nazionale, in difesa di Mazzarino, preda di briganti. Combatte poi ad Adernò a capo di un plotone. Il Comandante Generale Vincenzo Orsini, il 19 Dicembre 1848, gli rilascia un certificato in cui conclude: "A cittadini come il Lunetta io fo' di cappello" .
Il 29 Marzo 1849 viene richiamato dal Ministero della Guerra e combatte a Belmonte Mezzagno, ma la vittoria delle armate nemiche lo costringe alla latitanza assieme al Principe Galletti e a molti altri valorosi. Intervenuta l'amnistia del 7 Maggio 1860, torna al paese natio. Giunta l'alba radiosa dell'epopea del 1860, il Lunetta va in aiuto di Garibaldi con alcuni volenterosi Sancataldesi.
Liberata la Sicilia egli viene nominato Delegato di P. S. a S. Cataldo e, ancora una volta, difende il suo popolo contro le bande armate che dopo la rivoluzione infestavano le nostre ubertose contrade. Oltre alla medaglia ottenuta in Messina si fregia di quella commemorativa del 1848 e di quella di bronzo per benemerenza della salute pubblica.


Il racconto di Giovanni Mulè Bertolo

Nulla ho potuto ricavare dalle carte degli Archivi il giorno, in cui la città di S.Cataldo inalberò la bandiera dell'emancipazione. Ne più fortunato fui nella ricerca dei nomi di quei cittadini, ai quali venne affidata la somma delle cose. Anche la tradizione si è messa d'accordo con l'Archivio della provincia e col collega del comune, coprendo col velo del silenzio e la data precisa dell'insorgimento e i nomi dei promotori. Solo ho potuto sottrarre a tale dimenticanza due nomi: don Gaetano Vassallo e l'avv. Giuseppe Amico Medico, dei quali il primo ebbesi la presidenza del Comitato di difesa e di sicurezza pubblica e il secondo la vicepresidenza. E questo è dovuto alle grazie dell'Archivio provinciale. La tradizione dal canto suo salva dall'oblio un altro nome, quello di don Francesco Lunetta, che, ardente di libertà, sapeva tener desto lo spirito patrio fra i giovani suoi concittadini, eludendo la vigilanza degli scherani del dispotismo.
L'insorgimento sancataldese si può riferire agli ultimi due giorni di gennaio, almeno così sono indotto a credere.
Il Presidente del Comitato appartiene ad uno dei casati piu cospicui per censo, per bontà di carattere, per affetto e devozione al patrio suolo e per meriti intellettuali. Era in amore del popolo e il popolo lo chiamò al più eminente posto della cosa pubblica e non ebbe a dir mea culpa per tale scelta.
Contemporaneamente il Vassallo, per voto degli ufficiali delle varie compagnie, onde componeasi la Guardia nazionale, assunse col grado di Maggiore il comando del battaglione e fece il suo dovere.
Il vicepresidente don Giuseppe Amico Medico è una mia conoscenza e perciò ne so qualche cosa e la dico intera.
Nacque il 30 dicembre 1806, studiò filosofia e lettere in Girgenti e si addottorò in legge al 1824. Rappresentò il comune di S. Cataldo al Parlamento Siciliano nel 1848. Fece parte del Consiglio provinciale di Caltanissetta, che varie volte lo volle alla sua presidenza. Fermata sua stanza in Caltanissetta, occupò uno dei posti più segnalati nel foro e presiedette il Consiglio dell'Ordine degli avvocati. Lo studio del diritto non disgiunse da quello della storia e illustrò il suolo natio con pregevoli monagrafie. Cessò di vivere il 18 dicembre 1886.
Quanti nani passano per giganti e quanti giganti se ne stanno rincantucciati, obliati, inosservati.
Uno di questi ultimi è Francesco Lunetta, il piu rivoluzionario dei sancataldesi, che per patriottismo può dar dei punti e glie ne avanzano.
Nacque il di 8 dicembre 1810 e vive tuttora vegeto e robusto, tirando fumo dalla sua eterna pipa, sempre accesa come un vulcano in attività di servizio. Dotato di spiriti marziali, che incarna nella sua maschia persona, dà come volontario il suo nome nel 1831 all'undecimo Reggimento di linea, ma è costretto a dare un addio alla vita militare nel 1833 per gravi interessi di famiglia, essendo rimasto privo dei genitori. Quando l'indica lue apporta morte e dolore la prima volta all'isola nostra ed estende il suo malefico impero a S. Cataldo, la maggior parte dei cittadini se la da a gambe, facendo le fiche al salus publica suprema lex, e la cosa pubblica cade nelle mani del Lunetta, che imperterrito sfida la morte e sa meritar bene dei suoi concittadini e delle autorità preposte al governo della valle.
La notizia della rivoluzione del 12 gennaio penetra in S.Cataldo e il Lunetta non pone tempo in mezzo a recarsi in Palermo, dove si schiera fra i più arditi, combattendo le truppe borboniche. Quando la capitale spedisce delle squadriglie armate in difesa di Messina, una di questa è capitanata dal Lunetta, il quale fa il suo dovere di cittadino e di soldato. E Messina, ammirandone l'eroismo, lo fregia di una medaglia di argento, che accompagna con questo diploma:
Tu, generoso fratello, sprezzasti gli agi della vita, lasciasti le feste della vittoriosa capitale ed, affrontando i pericoli, accorresti in aiuto dei tuoi fratelli di Messina. Qui venisti per combattere con loro e con quanti valorosi mossero da ogni angolo della magnanima terra a partecipare all'ultimo trionfo della nazionale redenzione. Messina, grata al sublime sacrificio, fregia il tuo nobile petto di una gloriosa medaglia, tributo di riconoscenza, ricordo delle durate fatiche, monumento ai posteri di eroismo e di affratellamento siciliano.
Ritornato in patria, il voto dei militi della sesta compagnia della Guardia nazionale gli conferisce il grado di capitano.
Quando Mazzarino, preda di una mano di manigoldi, chiama in aiuto i fratelli della provincia, il Lunetta alla
testa di una legione di cinquantadue valorosi e sul posto dell'onore e fa sempre il suo dovere di cittadino e di soldato.
La eroica Messina cade in potere di feroce soldatesca e il Lunetta, capitanando una forte colonna di giovani animosi, vola ad affrontare il nemico e in Aderno e aggregato al comando di Vincenzo Orsini, segnalandosi sempre, per patriottismo e per coraggio. Richiamato dal Ministero della guerra il 29 marzo 1849 corre con la sua compagnia a dar braccio forte a Palermo e fa il suo dovere e come cittadino e come soldato, misurandosi col nemico varie volte nei primi giorni di maggio presso Mezzagno.
Sopraffatti i Siciliani dal numero preponderante delle schiere nemiche sono costretti a sciogliersi e il Lunetta col cav. Masaracchio da Niscemi, col padre Galeotti delle Scuole Pie, col principe di S.Cataldo ed altri prodi si da ramingo per i campi. Pubblicata l'amnistia del 7 maggio in Misilmeri, ritorna in patria e sino al 1860 vive una vita ritiratissima.
Inalberata al 1860 la bandiera della liberta, il nostro Lunetta ebbe affidata come Delegato la sicurezza della città di S. Cataldo. Da quel tempo, non avendo a combattere nemici della liberta, si da a sconfiggere i briganti, che scorazzano l'isola nostra: le comitive Ansalone e Salvo, Barravecchia e Bonifacio, Valvo e Dipasquale ne ricordano le batoste.

La sera del 13 agosto la citta di S.Cataldo è sotto l'incubo di una grave commozione.
E' l'ora 1 di notte e un certo Falzone Biagio nel piano del palazzo alla presenza di molti cittadini, che passeggiano e di non pochi gentiluomini seduti dinanzi al Casino di compagnia, ardisce freddare con un colpo di fucile Giuseppe Vasapolli, persona onesta e padre di quattro teneri figli. Il Presidente del Magistrato municipale e alcuni militi della Guardia nazionale, che son testimoni di tanta audacia, assicurano l'omicida e, toltogli il fucile ancora fumante, lo consegnano alle guardie municipali, perchè queste lo traducano in prigione. I cittadini, che son presenti, ne vogliono far giustizia sommaria, ma le guardie con grande pericolo della loro vita ottengono che il Falzone entri in carcere, sebbene in condizioni deplorevoli per ferite riportate. Intanto una gran massa di popolo si aduna e chiede la fucilazione immediata dell'omicida.
Le autorità fiancheggiate dalla Guardia nazionale, che subito accorre con le armi alle mani, si oppongono e con saggi consigli e con opportune riflessioni cercano d'impedire che la minaccia di morte sia seguita dal fatto. Il Giudice comunale e il capitano signor Francesco Lunetta si pongono a guardia del carcere, ma una gragnuola incessante di sassi li costringe a lasciare il posto, se non vogliono restarne vittima.
Si abbatte la porta della prigione e il Falzone e sagrificato al sangue dell'innocente Vasapolli, che per equivoco fu fatto segno alla vendetta dell'omicida in vece di don Giuseppe Torregrossa.
La Guardia nazionale fra le tenebre della notte non puo far uso delle armi per impedire e frenare l'impeto del popolo, non volendo andare incontro a conseguenze funeste, delle quali non sono prevedibili l'entità e la misura, ma sta pronta a battersi, ove mai la plebaglia eccitata da gente dedita ai delitti voglia ed osi trascendere ad atti, che attentino alla vita e alla proprieta di pacifici cittadini.

Pubblicatosi il decreto 22 luglio, grande entusiasmo destasi nell'animo dei giovani, ardenti di carita patria e bramosi di offrire il braccio a respingere il nemico in caso d'invasione dell'isola. Alla testa di cosi ardimentosi cittadini e il signor Francesco Lunetta. In breve tempo n. 101 dei militi di Guardia nazionale e 44 semplici cittadini han dato il loro nome, pronti a marciare la ove il bisogno lo richieda.

Il 5 settembre arriva in S.Cataldo il Comandante militare del distretto, cav. Giuseppe Ayala, alla testa di 100
militi della Compagnia di sua fiducia. E' accolto con una dimostrazione calorosa dai cittadini e dalla Guardia nazionale sotto le armi. Indi passa a rassegna i volontari, che devono marciare dietro ordini superiori.
E il 17 settembre, il Comitato di guerra comunale procede alla consegna di 67 fucili, di 2060 cartucce, di onze 60 per le piccole spese di viaggio e della bandiera tricolore con lo stemma della Sicilia e con la leggenda: S. Cataldo.
Il capitano dei volontari signor Lunetta, ricevuta la consegna delle armi, che distribuisce ai suoi commilitoni, baldo e piena di gioia comanda al pelottone di marciare. La commozione è generale, indescrivibile:
molteplici sentimenti si agitano, si urtano, si concentrano nell'animo di quel popolo generoso e degno di ogni encomio.
La marcia è diretta alla volta del campo di Adernò secondo gli ordini del Ministro dell'interno partecipati al Presidente del Magistrato municipale con lettera del 16 dal Comandante d'armi.
Il 1 ottobre il Commissario del potere esecutivo in compagnia del Commissario straordinario signor Guarneri
Andrea e del Comandante militare del distretto cav. Giuseppe Ayala è accolto in S.Cataldo con dimostrazioni vive di affetto e di devozione. Lo scopo della visita è eminentemente patriottico: trovar mezzi per concorrere alle spese bisognevoli a far fronte alle esigenze della nazione dinanzi alla probabile, anzi certa ripresa delle armi contro il poderoso esercito nemico.
Il Consiglio civico, avvertito a tempo e con precedenza, è riunito. I tre ospiti intervengono all'adunanza e il Commissario straordinario signor Guarneri con discorso informato da nobili sentimenti fa breccia nell'animo dei consiglieri, per altro compresi del dovere, che li chiama a venire in ajuto della causa comune. E s'inizia una sottoscrizione, che in men di 30 minuti frutta la cospicua somma di onze 60, lire 765.

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